Davide Torbidi in quattro anni ha percorso 70.000 km, fotografando in 181 luoghi diversi, tra il centro e il nord Italia.
Un autore da classificare tra gli “ossessionati” della fotografia; e come potrei definirlo diversamente?
Quasi tutti i fine settimana viaggia, con qualche amico, per esplorare i posti “giusti” dopo una lunga ricerca fatta nei giorni precedenti.
Davide si dedica a quel tipo di fotografia che viene definita “urbex” (un’abbreviazione di urban exploration): cioè un piccolo gruppo di fotografi entra in un luogo abbandonato, per esempio una vecchia fabbrica, e all’interno fotografa ciò che si trova di fronte.
Ma certamente non è solo l’atto del fotografare ciò che spinge Davide e quelli come lui a girare l’Italia in cerca di luoghi abbandonati, parrebbe più una vera e propria performance artistica che si sviluppa in varie fasi:
– la ricerca tramite il web (anche questa ossessiva, rubando spesso il tempo al sonno) di luoghi adatti e non troppo sfruttati da altri fotografi.
– il viaggio con gli amici, si possono percorrere centinaia di chilometri in una domenica solo per giungere al posto ambito
– la fase di vera e propria intrusione nel luogo, intrusione non priva di rischi trattandosi spesso di proprietà private.
Qui gli aneddoti sono tanti ma ne cito solo uno che valga per tutti: essere sorpresi all’interno del luogo dal proprietario, o più facilmente del guardiano, può valere la minaccia di una fucilata. Ma passata una certa paura iniziale il tutto si risolve con la promessa di portare delle stampe di ciò che si è fotografato.
È una vera e propria esperienza, come direbbe il mio caro amico e maestro Filvio Bortolozzo: questa è fotografia “nei” luoghi e non semplicemente fotografia “dei” luoghi.
Non parliamo di documentazione per carità, o di denuncia del degrado ma è innanzitutto un’esperienza estetica, la voglia di questi fotografi di portare a casa delle immagini che vanno a riempire il loro archivio, sono dei collezionisti di luoghi, come del resto amano definirsi.
È anche il frutto di un amore sincero per il territorio antropizzato, frutto ancora della curiosità e del ricordo dei giochi di quando si era ragazzini.
Davide infatti è vissuto nel lodigiano, zona ricca di posti da esplorare e ricorda quando scorazzando in biciletta con i gli amici si esploravano luoghi, ritenuti nell’animo di un ragazzo, inaccessibili o proibiti. In un mondo libero da cellulari e con poche paure, si usciva di casa dopo la scuola e soprattutto d’estate si rincasava all’ora di cena!
Ecco dunque che tutti queste sensazioni riaffiorano durante le lunghe giornate di esplorazione urbana.
Quante analogie vedo anche con il lavoro dei Becher:
amore per ciò che circonda il fotografo, voglia di catalogazione, creazione di un archivio senza fine, prelievo di una forma che è li già pronta … solo da prendere come Duchamp ci ha insegnato più di cento anni fa. Ma ancora come i Becher un rigore assoluto nel porsi di fronte alle cose sempre allo stasso modo con la stessa macchina fotografica con lo stesso obiettivo, senza cadere nell’errore di alcuni fotoamatori che un giorno zumano e l’altro usano l’otto millimetri “perché oggi mi piace così”. Per arrivare a un vero stato di ansia quando si acquista un nuovo obiettivo, la volontà infatti è di non modificare lo stile rispetto alle foto precedenti.
Non posso terminare questo breve articolo senza ricordare una cosa a cui Davide tiene molto: La prima regola da imparare per essere un Urban Explorer è avere il massimo rispetto per i luoghi visitati.
C’è un motto noto a ogni vero Urbex: “Non prendere altro che foto. Non lasciare niente se non impronte“.
Davide Torbidi è nato a Casalpusterlengo (LO) nel 1964, da alcuni anni vive a Codogno. Si è occupato a lungo di grafica per una multinazionale nel settore alimentare, maturando una significativa esperienza nel campo della comunicazione pubblicitaria.
Articolo scritto per: http://www.fiaf.net/agoradicult/ nel settembre 2019