Posseggo due numeri della storica rivista “Imago”, ammesso che si possa definire rivista.
Non l’ho mai apprezzata nel modo giusto.
Consapevole di avere tra le mani un oggetto prezioso e denso di significati ho sempre faticato a maneggiarla, per cui le due copie riposano da anni in libreria.
Per guardarla bisogna fare una serie di operazioni delicate, sfilare il blocco da una fascia che la racchiude, aprire il cofanetto di cartoncino poroso (dopo 60 anni veramente delicato) poi aprire i vari contenuti: libricini di poche pagine, un poster gigante su carta leggerissima difficile poi da richiudere (peggio di una carta stradale), cartoline, blocchetti, insomma un vero campionario di oggetti stampati.
Dice Maria Luisa Ghianda: “Lo stesso processo di lettura di cui si poteva avvalere il suo fruitore era in sé un atto creativo, una vera e propria performance”.
Lo so è un mio limite: l’oggetto stampato deve avere un certa forma, molto tradizionale, già il formato ad album che magari si apre con delle ante mi è sempre piaciuto poco.
Non mi piacevano nemmeno i preziosi poster che Quattroruote inseriva nella sua impaginazione, si creava subito il dilemma: lo stacco e rovino la rivista (tra l’altro delicatissima) o lo lascio al suo posto rendendo veramente scomoda la lettura?
Ma ecco che incontro questo libro meraviglioso (Imago 1960-1971, Corraini edizioni): tutti i numeri di “Imago”, i testi, le immagini diventano magicamente fruibili in un formato che mi è congeniale.
Non più quindi il campionario, disorganizzato, definito anche un oggetto pubblicitario dove mostrare carte lucide, usomano, naturali o colorate stampate in offset, serigrafia, tipografia, celebrazione di materiali effimeri ma un libro dal classico formato, un bel tomo di 400 pagine stampato in modo esemplare, dove tutto si ricompone in modo ordinato.
Probabilmente è proprio ciò che non volevano gli autori della rivista ma così ne nasce una nuova opera autonoma.
Che il libro sia meglio del film?
Se la rivista “Imago”, sfugge, esplode tra le mani, Giorgio Camuffo, l’autore di questo libro, riesce a fare ordine, senza contare che possedere oggi tutti i numeri della rivista è un impresa impegnativa anche per il portafoglio, lo si capisce guardandoli esposti nelle teche alla mostra.
Dal libro risaltano i singoli contenuti, talvolta più valorizzati che non nel loro formato originario e ci si accorge con chiarezza che Michele Provinciali e Raffaele Bassoli (i creatori della rivista) hanno potuto giocare con intellettuali e designer importantissimi: Dino Buzzati, Giorgio Bocca, Piero Chiara, Achille Castiglioni, Max Huber, Bruno Munari, Cesare Colombo e molti altri di non minor valore, impossibile qui nominarli tutti.
La mostra, da non perdere, dove è possibile vedere tutti i numeri della rivista è all’ADI Design Museum (poteva essere altrove?) fino al 13 febbraio.
Bella, ricca e ben organizzata, impossibile da fare meglio dato l’oggetto in questione.
Però il libro …