Jacopo Fo, in un bellissimo documentario su Andrea Pazienza, dal titolo PAZ (2001), butta lì un aneddoto sull’autore, sul fumetto di una volta e sulla mitica Bologna degli anni Settanta. Ricorda di averlo incontrato una sera al centro di un gruppo di geniali autori.
Cosa facevano? Dotati di un proiettore, cercavano di capire il funzionamento della stampa. Cercavano di isolare il colore di una tavola di Topolino.
Ingrandiscono, provano a isolare solo un particolare, aumentano il dettaglio. Sempre di più. E ancora. Tutto avviene in una stanza buia. Perché? Vogliono capire cosa aveva in più o in meno il fumetto americano rispetto ai propri bellissimi fumetti underground.
Cosa vedeva Paz e il resto della banda? Probabilmente, una serie di puntini, finiti su un foglio a una determinata distanza l’uno dall’altro. C’è stato un periodo in cui i fumetti erano realizzati con colori piatti, senza sfumature o effetti particolari.
Basta guardare come cambiano le copertine di Topolino dai numeri negli anni sessanta o settanta. Lo stile essenziale, la coloritura a tinte piatte, la grafica pulita ben si sposano con lo stile classico del fumetto.
Poi, alla fine degli anni Ottanta migliora la stampa.
Nella prima metà degli anni Novanta, si sperimenta la colorazione al computer. Si può avere un’idea dell’uso più “spinto” del colore sfumato guardando le copertine di PK – Paperinik New Adventures (1996) di Marco Ghiglione e Max Monteduro.
Ci piace ragionare sul colore. La fissazione che CDcromo ha per il suo utilizzo, l’attenzione per la qualità di stampa, il feedback visivo del risultato finale, la percezione dell’occhio umano…Ci piace guardare, confrontare, ingrandire, perderci nelle immagini. Guardare quelle stampate e quelle digitali.
Può farlo chiunque sia appassionato, non c’è nemmeno bisogno di un proiettore!