Lunedì 19 agosto 1839 nasce uffcialmente la fotografia.
In questo giorno, infatti, la nuova invenzione fu presentata ai Parigini presso l’accademia delle scienze e quella delle arti visive.
Passa qualche decennio e i pittori sono liberi dal difficile compito di rappresentare la realtà “così com’è”, ammesso che si possa farlo.
L’evoluzione pittorica in centocinquant’anni passa da Bernardo Bellotto (1722-1780) praticamente un fotografo dotato solo di pennello (e di camera obscura) a Mario Sironi, espressionista, futurista, ma soprattuto artista di “sintesi e di semplificazione estrema”.
Dipinge a colpi d’accetta, dicono.
Le sue appassionate letture: Friederich Nietzsche, Giacomo Leopardi, i romanzieri russi; la sua musica: Richard Wagner, ovvio.
Rappresenta le periferie milanesi in modo essenziale così semplice ed efficace, che da allora le periferie milanesi sono come lui le ha rappresentate. Ancor oggi le sue figure sono degne di aprire convegni, di apparire in testa ad articoli sui quotidiani; quando si parla di periferia, la periferia milanese è quella lì, punto.
Mario Sironi è stato, ed è ancora, una fonte inesauribile di ispirazione.
Anche i fotografi del 900 hanno assorbito la sua visione:
Gabriele Basilico, intervistato da Mario Calabresi dice: “Girando senza sosta in motorino accompagnato solo dalla macchina fotografica e da una carta 1:5000 della città … In quel fine settimana inizio a fare queste foto con atmosfere alla Sironi”.
Ernesto Fantozzi, mitico maestro del circolo fotografico milanese, stimolato sul perchè le sue fotografie ricordano certe atmosfere sironiane risponde esattamente cosi: “il richiamo a Sironi è pertinente perché da adolescente mi avevano molto colpito le sue vedute cittadine corrispondenti al mio carattere e alla mia sensibilità”.
Il paesaggio urbano milanese in cento anni esatti è cambiato molto, ma i resti delle visioni alla Sironi sono presenti ovunque. Dal centro alla periferia è facile imbattersi in profili che ricordano i quadri del maestro milanese.
Negli anni 60 era più facile, anzi poco era cambiato, negli anni 80 c’era ancora molto e oggi con un po’ più di fatica si trovano ancora le costruzioni popolari che hanno caratterizzato i paesaggi urbani di Sironi.
Barbara Gerosa da tempo raccoglie immagini nella città che riportano a quelle visioni.
Visioni di particolari o visioni ampie, poca differenza, quando vede un Sironi lei scatta!
Nessuna pretesa scientifica e assoluta ma uno sguardo attento a: paesaggi urbani in trasformazione, alla ferrovia che segna il limite tra città e campagna, ai volumi compatti creati dagli edifici.
Barbara (architetto vero) ama Sironi, che si rivela metaforicamente architetto e scultore quando dipinge, quando accentua la dimensione del vuoto creando atmosfere di desolazione.
La nostra fotografa ha la stessa sincera compassione per quei luoghi di vita cittadina, le case “metafisiche” fotografate non vogliono trasmettere orrore ma il loro potere struggente, vi è spesso la stessa ricerca formale tentando di formare l’immagine calcolando i rapporti degli elementi fra loro e l’intero spazio dell’immagine.
Facciate cieche di vecchie palazzine popolari, dove a volte l’apparire di una sola finestrella rende ancora più angosciate la visione.
Ma sarà per questo che nel secondo dopoguerra Gio Ponti, che conosceva benissimo Sironi, si preoccupava di affermare che le casa vanno finite anche sui lati? E non solo lo affermava a parole ma lo metteva in pratica con decisione.
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